La legge che ha disciplinato la Cannabis light in Italia è la n. 242 del 22 Dicembre 2016. Questa consente la produzione (e la vendita) di Cannabis con THC fino allo 0,6%, in deroga a quanto prevede il c.d. “Testo Unico Stupefacenti” (D.P.R. n. 309/1990). Ecco un passo della legge 242/2016:
“5. Qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge”.
Secondo alcuni la n. 242/2016 si applicherebbe ai soli produttori; per altri invece si applicherebbe indistintamente a tutti e quindi anche a coloro che commercializzaziono le infiorescenze, in base al fatto che la normativa parla espressamente di “filiera”.
Fatto stà che nè la Legge n. 242/2016 nè altre normative pongono il divieto di vendere infiorescenze di Canapa: alla luce di ciò, stante l’esistenza nel nostro ordinamento del c.d. principio di legalità, nessuno potrà essere punito per la relativa vendita (ovviamente a condizione che il THC del prodotto non superi lo 0,6% e che il seme della coltivazione sia certificato). Secondo alcuni vi sarebbe un vuoto normativo, in ogni caso “tutto ciò che non è vieto è lecito”.
Ed infatti, tutte le volte in cui gli Agenti hanno effettuato dei sequestri di infiorescenze presso rivenditori, la merce è stata poi sempre restituita e nessuno ha mai subito condanne o sanzioni di carattere civilistico.
La legge sulla Cannabis light in Italia
Oltre a quanto detto sin qui e al di là di quanto prevede la Legge n. 242/2016, va sottolineato che per Letteratura Scientifica e Medica ed anche per i Giudici della Suprema Corte di Cassazione (massimo organo giudiziario in Italia), il fiore di Canapa che ha un contenuto di THC inferiore allo 0,5% non possiede effetti psicotropi/droganti, per cui tecnicamente non può essere considerato come “droga”. Per cui può ben ritenersi che anche in assenza della Legge n. 242/2016 la vendita di infiorescenze di Cannabis sarebbe stata ugualmente legittima, a giudizio degl scriventi.
A conferma, ecco come si era espressa la Corte di Cassazione nel lontano 20.10.1989 con la Sentenza n. 16648: “In materia di coltivazione non autorizzata di piante stupefacenti, una volta accertata l’idoneità di una pianta a produrre il tetraidrocannabinolo (THC) che è l’elemento produttivo degli effetti psicotropi, essa deve essere considerata, agli effetti finali, alla stessa stregua di una cannabis indica, a nulla rilevando la sua particolare, diversa denominazione, e la maggiore o minore concentrazione di principio attivo, purché non inferiore allo zero virgola cinque per cento”.
I paletti fissati dalla Legge n. 242/2016
Si diceva poco fa che per aversi la liceità della produzione e della vendita occorre però che il contenuto di THC sia inferiore allo 0.5/0.6% e che la coltivazione fosse avvenuta con semi certificati; infatti, se si coltiva con sementi non certificate, si rischia di commettere illeciti anche nell’ipotesi in cui sia rispettato il livello di THC (il reato che potrebbe configurarsi è comunque quello di “frode in commercio” ex art. 515 c.p. e non quello di spaccio di sostanza stupefacente). Solo l’utilizzo di semi certificati può costituire quindi sicura e piena non punibilità dal punto di vista penale.
I rivenditori non debbono comunque allarmarsi, posto che spetta al produttore dichiarare che le infiorescenze provengono da sementi certificate e, in presenza di questa garanzia, il rivenditore non correrà alcun rischio di commettere reati poichè in ogni caso egli sarebbe in buona fede.
Vari articoli anche online riportano che tutti gli studi e controlli effettuati sulle infiorescenze di Cannabis in vendita nei negozio hanno rilevato l’assenza di sostante dannose: ciò costituisce uno dei motivi principali per cui la Cannabis light sta riscuotendo un successo enorme nelle vendite al di là delle più rosee aspettative, e tutte le stime indicano che il mercato infiorescenze è e sarà in crescita per ancora molti anni a seguire.
Il Consiglio Superiore di Sanità ha vietato la vendita dei fiori di Canapa?
Assolutamente no! Quello emesso dal Consiglio Superiore di Sanità in data 10.04.2018 è un semplice parere, un punto di vista, che non può in nessun caso prevalere sulla Legge n. 242/2016.
Non solo: tale parere del 10.04.2018 non potrebbe nemmeno prevalere sulla successiva Circolare del 22.05.2018 emanata dal Vice Ministro delle Politiche Agricole la quale ha di fatto confermato la piena liceità (anche) della vendita delle infiorescenze di Cannabis, così statuendo:
“6. Le importazioni a fini commerciali di piante di canapa da altri paesi non rientrano nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016 e, in ogni caso, devono rispettare la normativa dell’Unione europea e nazionale vigente in materia. Con specifico riguardo alle infiorescenze della canapa, si precisa che queste, pur non essendo citate espressamente dalla legge n. 242 del 2016 né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, rientrano nell’ambito delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse, iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, il cui contenuto complessivo di THC della coltivazione non superi i livelli stabiliti dalla normativa” (cfr. punto 6 della stessa Circolare addì 22.05.2018).
Peraltro, in base al principio della gerarchia delle fonti normative che governa il nostro ordinamento giuridico, il parere, essendo una fonte normativa di grado subordinato rispetto alla legge ed alla circolare, deve ritenersi come affetto da nullità stante l’esistenza del conflitto con le fonti sdi grado sovraordinato. Senza considerare che il parere non ha nemmeno efficacia normativa.
Allo stato pertanto non vi è alcuna possibilità che il parere del CSS possa aver mutato il quadro normativo in tema di vendita di infiorescenze.
Da un punto di vista metagiuridico può ritenersi che, avendo il mercato dei green shop assunto delle dimensioni importanti sia sotto il profilo economico che occupazionale, difficilmente il Legislatore vorrà introdurre divieti che comunque andrebbero a danneggiare l’economia nazionale.
Da ultimo osserviamo che il parere del CSS nella bibliografia richiama degli studi in tema di Cannabis antiquati ed oramai superati.
Il CBD è un medicinale?
Nonostante molti consumatori siano convinti che il CBD sia un medicinale, in realtà non si hanno ancora evidenze scientifiche che abbia proprietà curative. I rivenditori non potranno quindi metterlo in vendita pubblicizzandolo come un medicinale.
Non vi sono dunque evidenze scientifiche che dimostrino che il CBD curi le malattie e/o che faccia bene alla salute, ma solo che possa alleviare alcuni degli effetti collaterali derivanti dall’assunzione di determinati farmaci (come ad esempio i chemioterapici).
La legge 242/2016 regola solo la coltivazione o anche la commercializzazione?
Come già detto in precedenza sul tema vi è un acceso dibattito anche tra gli stessi operatori del diritto.
Secondo parte della Dottrina, la Legge 242/2016 regolerebbe la sola coltivazione e non anche la vendita. E’ sì vero – secondo quest’ottica – che la legge parla di “filiera”, tuttavia il soggetto è sempre il coltivatore.
Secondo altra parte della Dottrina invece la Legge 242/2016 non riguarderebbe solo la coltivazione ma anche la vendita, in base al dato letterale della normativa che, parlando di “filiera della canapa”, riguarderebbe tutti i soggetti che operano nel settore.
Fatto stà che, come già detto, non vi sono divieti sul tema, per cui nessuna sanzione potrà essere applicata ovviamente per coloro che si attengono ai limiti fissati dalla Legge n. 242/2016.
Sul trasporto dei fiori di Cannabis
Il commerciante che trasporta le infiorescenze deve avere con sé il “DDT” (documento di trasporto) – dove il coltivatore abbia indicato la destinazione, con tutta la filiera -, lo statuto e l’atto costitutivo della sua società, il contratto di compravendita, nonché le fatture con l’indicazione del tipo di sostanza trasportata.
La vendita delle talee
Le talee possono essere regolarmente messe in vendita ed al riguardo non serve avere delle autorizzazioni particolari. Il venditore deve solo accertarsi che la semente madre sia certificata.
Le talee possono quindi essere vendute se certificate e se non vi sono stati “incroci” (N.B.: la legge parla di semi certificati, non di talee certificate). Il THC deve comunque rientrare nei limiti di cui alla richiamata Legge n. 242/2016.
Il rivenditore deve quindi accertarsi che nel contratto di acquisto sia riportata tutta la filiera, con tutta la linea delle sementi, nonchè la descrizione puntuale del lotto e del seme utilizzato per la produzione. Qualora non vi sia tracciabilità della filiera, conviene non acquistare il prodotto, posto che l’indagine genetica ha dei costi molto elevati.
Secondo alcuni operatori del diritto vi sarebbe un grosso rischio nel vendere talee importate (sarebbe illegale). Secondo altro orientamento invece se vi è un certificato che testimoni che il seme rientra tra le 68 specie ammesse, non vi sarebbe alcun problema.
La vendita di talee a scopo ornamentale come detto non è sottoposta ad autorizzazioni particolari.
La Canapa negli alimenti: cosa dice la legge
La commercializzazione dei prodotti alimentari a base di canapa non è vietata in sé, però, posto che trattasi di un prodotto alimentare, va rispettata tutta la relativa normativa di settore, compresa quella sull’etichettatura, ed inoltre occorre fare un distinguo a seconda delle parti delle pianta utilizzate.
In teoria la legge ammette l’utilizzo dei soli semi e dell’olio di semi oltre che della farina derivante dai primi, anche se in moltissimi utilizzano anche i fiori e le infiorescenze.
Sui semi nulla quaestio: li si può tranquillamente utilizzare e l’eventuale presenza di THC è comunque giustificata (cfr. Circolare Min. Salute 22.05.2009).
Per quanto riguarda le infiorescenze il discorso invece è più complesso. Ad oggi infatti esiste un vuoto normativo in tema di limite di THC che può essere contenuto negli alimenti, posto che ancora non è stato emanato il decreto del Ministero della Salute che avrebbe dovuto, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della Legge n. 242/2016, definire i livelli massimi di THC. Secondo alcuni il vuoto normativo giustificherebbe la presenza del THC, secondo altri invece in assenza di un intervento normativo vi sarebbe un divieto assoluto la cui violazione sarebbe penalmente rilevante.
Federfarma invita alla massima cautela.
In base ad una bozza di decreto emanata dal Ministero della Salute, questi potrebbero essere i limiti:
Semi di canapa, farina ottenuta da semi di canapa 2,00 mg/kg
Olio ottenuto da semi di canapa 5,00 mg/kg
Integratori contenenti alimenti derivanti da canapa 2,00 mg/kg
In pratica, per i semi di canapa il limite sarebbe 0.002%; per l’olio sarebbe 0.005%; per gli integratori sarebbe 0.002%.
A questo punto appare auspicabile un intervento del Legislatire che chiarisca la vicenza in questione.